Siamo abituati a parlare di mano plegica e mano sana, ma la pratica clinica da sola ci evidenzia la presenza di aprassia della mano sana nell’emiplegia. Una mano che, quindi, tanto ‘sana’ non è.
Confrontando un paziente emiplegico con un paziente che ha subito un’amputazione dell’arto superiore, ad esempio, è evidente la facilità con cui il secondo impara in breve tempo a svolgere moltissime attività con una sola mano, comprese attività molto complesse e di manualità fine. Il paziente emiplegico, invece, avrà difficoltà a svolgere movimenti che richiedono una destrezza elevata ed una coordinazione con altre parti del corpo (come ad es. fare un nodo alle scarpe con una sola mano).
Possiamo facilmente immaginare che una lesione cerebrale crei una situazione ben più complessa, ma perchè ne vediamo gli effetti anche sul lato che, in teoria, non dovrebbe essere stato colpito?
Il sistema nervoso centrale come sistema dinamico
In parte questo ha a che vedere con le modalità con cui il nostro cervello genera il movimento volontario. Superando lo schema gerarchico e inserendoci in un’ottica di sistemi dinamici, pertanto in continua inter-relazione tra di loro, risulta evidente che una lesione anche di un solo di questi sistemi vada a destabilizzare l’intero SNC.
Per semplificare, il danno non è solo di quell’area cerebrale in cui non vi è più un’attività neuronale, ma anche delle aree che con questa si interfacciano che, dopo l’ictus, si trovano a portare avanti una conversazione senza interlocutore. La mancanza della risposta da parte dell’area colpita genera un deficit nella modulazione del movimento, che non riesce ad essere fluido e coordinato come prima della lesione.
Parlando di arti superiori, che forse più di ogni altra parte del corpo sono inter-dipendenti e abituati a lavorare in sincronia perfetta, questo porta ad un certo livello di aprassia della mano sana, soprattutto quando è impegnata in attività che normalmente sarebbero bimanuali.
Specializzazione emisferica per le prassie
Inoltre bisogna considerare che le nostre memorie motorie sono immagazzinate in una porzione specifica del nostro cervello che, nel momento in cui viene colpita da un ictus, non è più in grado di recuperarle ed utilizzarle come faceva prima. Il nostro bagaglio motorio che contiene le diverse prassie che abbiamo appreso nel corso della vita (da come si allacciano le scarpe a come si va in bicicletta) è contenuto nell’emisfero sinistro (quantomeno per i destrimani): sono infatti proprio i pazienti con emiplegia destra (quindi lesione emisferica sinistra) ad essere più spesso affetti da aprassia della mano sana.
Aprassia della mano sana… ma non solo!
Oltre a questo però, c’è da tenere in considerazione che l’emiplegia non è semplicemente un deficit motorio degli arti, ma un deficit anche sensoriale e che coinvolge anche il tronco. Dopo un ictus, infatti, ci si trova privi della fisiologica stabilizzazione data dal tronco, nostro vero centro di movimento e elemento indispensabile per il movimento delle estremità. Anche le estremità sane, non ‘ancorandosi’ ad una base stabile, possono trovare difficoltà nei movimenti, soprattutto se sono movimenti ampi e che coinvolgono i segmenti più prossimali. Oltretutto l’aprassia può comprendere anche le prassie grossolane e assiali (cioè del tronco), e non solo quelle relative alla mano: il paziente potrebbe avere difficoltà, ad es., a svolgere i passaggi posturali (da seduto a sdraiato o viceversa) in modo fluido perché non riesce a programmarli correttamente.
Collegato alle abilità del tronco vi è, senza dubbio, la capacità di mantenere l’equilibrio non solo per destabilizzazione esterne (cioè qualcosa che mi urta e mi fa perdere l’equilibrio) ma anche a quelle interne, legate cioè alla capacità del nostro corpo di modulare l’attività dei muscoli stabilizzatori in base ai movimenti del corpo stesso, prevedendoli e impedendoci di cadere. Quante volte il paziente emiplegico cade di lato se cerca di sollevare l’arto sano? Questa impossibilità a muoversi al di fuori di un piccolissimo raggio d’azione limita fortemente i movimenti possibili, anche quelli effettuati con l’arto sano. Nonostante questa limitazione non sia una vera e propria aprassia della mano, è in ogni caso da tenere in considerazione nel nostro approccio riabilitativo.
Quale trattamento per l’aprassia della mano sana?
Parlando proprio di approccio riabilitativo possiamo tener presente la presenza di aprassia della mano sana nel paziente emiplegico quando andiamo a programmare il nostro trattamento. Ad esempio, non dimenticandoci l’importanza del guiding anche sulla mano sana quando stiamo svolgendo un’attività bimanuale. Oppure utilizzare ampi movimenti dell’arto sano per spingere il paziente ad esplorare lo spazio intorno a sé e man mano abituarsi agli spostamenti in tutte le direzioni.
Ma più di ogni altra cosa, forse, è utile per il paziente che gli si insegnino molteplici attività che possa svolgere in autonomia, anche da seduto (e anche se non coinvolgono la mano plegica) perché ci si possa esercitare da solo. Possono essere infatti una parte importante degli auto-trattamenti tutte le attività che coinvolgano la manualità e la destrezza al fine di ridurre l’aprassia della mano sana.
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