Insegnare al paziente emiplegico come eseguire l’auto mobilizzazione della spalla significa renderlo partecipe del trattamento e avere la possibilità di intensificarne gli effetti. Questo tipo di manovre infatti, in associazione con un appropriato trattamento, sono il modo migliore per assicurarsi, dopo un evento lesivo quale l’ictus, la prevenzione di una mano rigida, bloccata in un ipertono che ne impedisce non solo i movimenti attivi, ma anche quelli passivi.
La spalla è un’articolazione vulnerabile e mal sopporta l’immobilizzazione.
(P.M.Davies, Passo dopo passo)
Dunque i movimenti che insegniamo al paziente hanno molteplici scopi, tra cui la conservazione dell’ampiezza del movimento (ROM) – e dunque la prevenzione di dolori e complicanze secondarie alla paralisi – e lo stimolo all’attivazione motoria dell’arto superiore.
Ovviamente nessuno di questi esercizi dovrebbe essere svolto dal paziente senza l’iniziale guida del terapista, che correggerà eventuali errori impedendo che si causino più danni che benefici ad un’articolazione così sensibile come quella della spalla. Altrettanto importante è che il paziente rimanga sempre all’interno del range di movimento che non causa dolore (se c’è dolore, fermati!) e che i movimenti vengano eseguiti molto lentamente.
Ecco 5 esempi di come il paziente può svolgere la mobilizzazione della spalla autonomamente:
Mobilizzazione della spalla ad ‘abbraccio’:

Da seduto con i piedi poggiati a terra, con le braccia incrociate in modo da sostenere il braccio plegico con quello sano, il paziente ruota il tronco a destra e sinistra. Per ottenere la protrazione della scapola plegica (che è l’obiettivo di questa mobilizzazione) il paziente dovrà girare di più sul lato sano. La mano sana, essendo sulla spalla, può aiutare a portarla in avanti.
N.B.: attenzione che le ginocchia rimangano ferme! Altrimenti la rotazione potrebbe star avvenendo su un fulcro diverso da quello che ci interessa.
Mobilizzazione della spalla in piedi:

Dalla stazione eretta invece si può utilizzare l’appoggio su di un tavolo. Con le mani ben poggiate (è presupposto necessario che la mano riesca ad appoggiarsi ben aperta) e mantenedo il bacino e le mani ferme, il paziente ruota il tronco a destra e sinistra.
N.B.: Potrebbe essere più facile fare questo movimento se si sta un po’ distanti dalla superficie d’appoggio, quindi consigliamo al paziente di fare un passo indietro.
Mobilizzazione della spalla al tavolo:

Questo movimento si può svolgere con le dita incrociate o, ancora meglio, con le dita stese e poggiate su un lenzuolino (o un qualunque altro tessuto che aiuti lo scivolamento sul tavolo), quindi il paziente si piega in avanti, mantendo le braccia ben stese, facendo scivolare il lenzuolino. Nonostane buona parte di questo movimento avvenga a livello delle anche, se il movimento viene portato fino in fondo interesserà anche la spalla che si troverà in flessione anteriore senza dover realmente sollevare il braccio.
N.B.: Il paziente non dev’essere seduto troppo vicino al tavolo altrimenti non avrà range di movimento.
Mobilizzazione della spalla verso il basso:

Da seduto e con i piedi ben poggiati, portati leggermenti in avanti per dare maggiore stabilità, il paziente si china in avanti lasciando che le braccia scendano tra le ginocchia, lentamente e fin dove può. Idealmente col tempo arriverà a toccare il pavimento. Anche qui si possono tenere le dita incrociate, ma se la mano presenta dei movimenti attivi il paziente può portare la mano ben aperta sul pavimento (o su un panchetto/sgabello posto davanti) prima di risalire.
N.B.: insegniamo al paziente anche la risalita! Deve partire per prima il tronco e non la testa, in modo tale da non sforzare i muscoli estensori del capo/tratto cervicale e sfruttare invece gli estensori della colonna dorsale/lombare. La testa quindi è l’ultima cosa a tornare in estensione.
Mobilizzazione della spalla verso il basso e in avanti:

Partendo dalla posizione precedente, che ha consentito una corretta protrazione della scapola, il paziente porta entrambe le braccia in avanti, lentamente e fin dove può. In questo modo, aumenterà il grado di flessione anteriore della spalla. Ovviamente, se le abilità motorie lo consentono, l’arto plegico partecipa attivamente al movimento (ma solo se questo non va ad aumentare eccessivamente il tono nell’arto e nella mano). Si può porre di fronte alle mani del paziente un oggetto leggero, come un birillo, per dare un obiettivo da raggiungere (o far cadere) ad ogni movimento.
N.B.: è importante che il paziente rimanga chinato in avanti mentre effettua il movimento. Infatti, se si raddrizzasse ogni volta che le braccia vengono portate in avanti, non andrebbe effettivamente ad aumentare il grado di flessione anteriore, che è lo scopo dell’esercizio.
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