Cosa si intende per auto-trattamenti?
Gli auto-trattamenti, anche detti ‘compiti a casa’, sono attività terapeutiche da svolgere in autonomia, cioè in assenza del terapista, per mantenere o implementare alcune funzioni e la mobilità generale, attraverso semplici esercizi o attività più complete e finalizzate.
Perchè è così importante assegnare gli auto-trattamenti?
Per il paziente emiplegico adulto, ma anche in tutte le patologie neurologiche, diventa parte fondamentale del programma riabilitativo individuale. Come dice Patricia M. Davies in Passo sopo Passo:
A un certo punto ogni paziente dovrà continuare a lavorare da solo a casa.
[…]
Chiaramente nessun paziente può mantenere o migliorare il livello di mobilità e la funzione dopo la dimissione dal trattamento se non gli è stato accuratamente e adeguatamente insegnato come e cosa può fare per mantenere e migliorare la propria condizione. (P.M. Davies)
Nel momento in cui il paziente prende confidenza con un’attività durante il trattamento, la svolge quindi in autonomia, senza alterazioni del tono e senza pericolo, essa dovrebbe essere inserita nel programma di auto-trattamento anche prima che quello con il terapista si interrompa. Si deve considerare, infatti, che qualsiasi percorso riabilitativo prima o poi si interromperà ed è importante che il paziente sia consapevole di quello che può fare da solo per conservare una buona mobilità.
Dunque se già durante il trattamento ha appreso quali attività può svolgere in sicurezza, le ha inserite in una routine quotidiana e si accorge del beneficio ricavato, sarà certamente più pronto ad affrontare la vita dopo la dimissione e l’interruzione del trattamento. Da questo punto di vista, ricordiamo che:
Le attività di vita quotidiana, se svolte correttamente e senza stimolare l’ipertono, aiuteranno il paziente a mantenere la mobilità e promuoveranno ulteriori miglioramenti (P.M. Davies)
Quindi spesso non è necessario inventarsi complessi esercizi che il paziente dovrà ripetere a casa ma basterà un accurato svolgimento delle ADL, con le modalità e le accortezze che il paziente ha già sperimentato durante il trattamento.
È infatti fondamentale non dimenticarsi che il terapista deve insegnare adeguatamente tali attività poichè anche se il paziente riesce a svolgere esercizi anche complessi, ciò non significa automaticamente che sappia riportare le sue capacità durante lo svoglimento di attività complete come quelle di vita quotidiana. È questo assunto, dopotutto, che è alla base della professione del terapista occupazionale o, più in generale, del terapista che segue il concetto Bobath, mettendo sempre la funzione al centro del suo intervento riabilitativo.
Quali altre attività possono essere considerate auto-trattamenti?
Così come non possono imparare da soli come camminare e vestirsi dopo l’ictus, molti pazienti avranno bisogno di essere guidati, informati e incoraggiati per intraprendere nuovi interessi e attività. (Drummond 1990)
Oltre alle classiche ADL, che saranno sicuramente uno strumento importante, il paziente dovrebbe prendere in considerazione attività hobbistiche che abbiano in sè le potenzialità di allenare le capacità motorie e cognitive per mantenersi in forma. Tra queste posso esservi attività di cucina, di giardinaggio, di pittura, prendersi cura di un animale; ma ovviamente anche svolgere sport adeguati al proprio livello di funzione come andare in bicicletta, fare sci di fondo, nuotare.
Oltretutto le attività ricreative hanno sicuramente maggiori benefici psicologici rispetto alle attività di vita quotidiana, generalmente percepite come più noiose, e diventano ancor più fondamentali nei casi in cui si sia dovuta abbandonare l’attività lavorativa. Per questo è importante far capire al paziente i benefici del ‘fare da solo’ fin dai primissimi trattamenti, poichè la scelta se proseguire o meno lungo questa linea dipende interamente dalla sua motivazione.
Allenare il più presto possibile il paziente ad essere il miglior terapista di se stesso (Bach-y-Rita e Balliet, 1987)
Riguardo alla motivazione personale l’assegnazione degli auto-trattamenti trova il suo più grande ostacolo: non è raro che il paziente sia demotivato nello svolgere qualsiasi tipo di attività da solo, e che riesca a trovare solo quella che basta a lavorare con il terapista. Da questo punto di vista, si nasconde anche un’altra insidia, come mi è stato fatto notare una volta da un saggio terapista: i compiti a casa possono essere la scusa perfetta per il terapista per giustificare gli insuccessi di un trattamento.
“Non migliori perchè non fai gli esercizi a casa come ti ho detto”.
Questo, oltre ad essere sempre e comunque falso, è un ostacolo alla relazione terapeutica: il paziente si sente colpevole e inadeguato nei confronti del terapista, e questo sì che può realmente influenzare negativamente l’andamento del percorso riabilitativo!
Tuttavia la mancanza di motivazione intrinseca e la tentazione del terapista di liberarsi della responsabilità credo possano essere superati per il beneficio che gli auto-trattamenti portano con sè.
Se la causa della demotivazione è un’intensa depressione a seguito della lesione e della disabilità che comporta, si può certamente chiedere l’aiuto di un professionista, uno psicologo, per aiutare il paziente a superarla.
Ma sta anche al terapista continuare a ricercare quella motivazione. Anche se inizialmente il paziente non segue i nostri suggerimenti, possiamo e dobbiamo continuare ad insistere, senza mai colpevolizzarlo per non averlo fatto la volta precedente. Man mano che migliora con noi, durante il trattamento, si sentirà più sicuro nello svolgere quei piccoli compiti (sempre molto semplici) che gli abbiamo assegnato. Se non lo ‘puniamo’ quando non li svolge, ma ci limitiamo a gratificarlo quando li svolge, la sua risposta emotiva non farà che migliorare. Se ci accorgiamo che non esegue il compito perchè ha paura di qualcosa (ad es. di cadere), assicuriamoci che lo possa svolgere prima durante il trattamento numerose volte.
Inutile dire che anche qui la collaborazione dei familiari e dei caregiver è centrale: anche loro devono essere pronti ad accompagnare il paziente nel suo tentativo, magari aiutandolo a svolgere le attività più complesse o ricordandogli (sempre bonariamente) che quel giorno deve svolgere quel compito. Quello che può essere estremamente limitante è un caregiver che non lascia fare al paziente, magari per timore che si faccia male, o che si stanchi, o semplicemente nella convinzione che sia suo dovere aiutarlo più possibile in tutto. È quindi importante la formazione dei caregiver perchè possano sapere qual’è la cosa più giusta da fare.
Quali linee guida seguire?
Riprendendo tutto questo, ecco i punti chiave su cui basarsi quando si assegnano auto-trattamenti:
- Scegliere inizialmente compiti semplici, che il paziente ha già dimostrato nel trattamento di saper svolgere in autonomia e sicurezza
- Qualunque compito, anche il più elementare, deve essere svolto prima con il terapista
- Assicurarsi di avere la collaborazione dei caregiver, in particolare per lo svolgimento dei compiti più complessi
- Attività complesse, come quelle di cucina o di giardinaggio, sono quelle più gratificanti perchè portano ad un risultato concreto e sono quelle che più facilmente diventeranno hobby successivamente: pertanto dovrebbero, presto o tardi, essere inserite nel programma
- Gratificare il paziente quando svolge i compiti assegnati e non rimproverarlo quando non lo fa
- Scrivere su un foglio le attività scelte, con una semplice spiegazione di come devono essere svolte (scegliere le parole assieme al paziente, in modo tale che sia comprensibile per lui) e i tempi secondo cui devono svolgersi (anche seguendo un semplice calendario dei giorni della settimana, v. tabella)
- Chiedere l’intervento di uno psicologo se la demotivazione sfocia in depressione

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