Deficit di integrazione della mano plegica

Deficit di integrazione della mano plegica

Perchè, anche quando l’arto superiore ha ripreso discrete funzioni motorie dopo l’ictus, ci troviamo spesso con una mano plegica che viene utilizzata pochissimo? Non parliamo, quindi, di quei casi in cui il recupero è stato scarso, o nullo, ma di quelli in cui il paziente, quando gli viene chiesto, riesce ad afferrare e rilasciare oggetti, anche piccoli, muove discretamente l’arto nello spazio, magari svolge esercizi mirati per l’arto superiore con estrema diligenza. Però poi, quando svolge attività della vita quotidiana, quella mano plegica non viene utilizzata (anche se è l’arto dominante).

In parte, sicuramente, dipende da una faticabilità dell’arto che è (e probabilmente resterà sempre) maggiore rispetto all’emilato sano. Qualsiasi movimento, anche quelli che durante gli esercizi vengono svolti con scioltezza, sarà sempre più impegnativo da svolgere con la mano plegica rispetto alla controlaterale. Ma l’impegno non è solo fisico.

Esiste altrettanto sicuramente, infatti, una difficoltà ad integrare nell’attività la mano plegica che non dipende dalla fatica fisica, ma dalla capacità cerebrale di riportare all’interno dello schema di movimento la mano colpita, che è stata ‘espulsa’ dallo schema corporeo quando è avvenuto l’ictus (o altra lesione cerebrale). Ed il recupero del movimento da solo non ci assicura che essa venga ‘riaccolta’ in toto!

Per es. si può notare nel paziente emiplegico che, nonostante sia in grado di passare un’ora al giorno a infilare chiodini con la mano colpita, nel momento in cui deve riempire un bicchiere d’acqua dal rubinetto utilizzerà solo la mano sana e la mano plegica rimarrà inerte lungo il fianco (o, nella migliore delle ipotesi, appoggiata al lavello).

Per questo è fondamentale durante la riabilitazione, e soprattutto fin dai primissimi momenti riabilitativi, che la mano plegica venga pian piano reinserita negli schemi di movimento eseguiti dal paziente: quando si sposta nel letto e dalla sedia, quando sta seduto al tavolino, ecc ecc. E più l’arto superiore recuperamaggiore deve essere la sua integrazione nelle attività di vita quotidiana: questo è, tra le altre cose, uno dei compiti principali del terapista occupazionale. L’ovvio passaggio successivo è: maggiore sarà l’integrazione della mano plegica nelle attività quotidiane, più l’arto superiore recupererà abilità motorie. Si può dunque creare un circolo virtuoso all’interno del recupero motorio post-ictus che faciliti ad accelleri la ripresa del paziente, tra l’altro ‘sgravandolo’ dal dover svolgere più di tanti esercizi specifici: basterà utilizzare la mano durante le attività.

Circolo virtuoso per la mano plegica: recupero e attività

Sarà sempliceNo, assolutamente. Spesso è una battaglia persa da parte dei caregiver“Glielo dico sempre di usare quella mano, non mi ascolta mai!!!” Se fosse semplice, il paziente lo farebbe già da solo. Sono molte le cose che il terapista deve considerare se come obiettivo c’è l’integrazione della mano plegica, eccone qualcuna:

  • Non addossare la responsabilità nè al paziente (“non ti concentri abbastanza”) nè ai familiari (“voi però glielo dovete ricordare”)
  • Non dare per scontato che se svolge quel movimento durante un esercizio, lo riporterà automaticamente nella vita reale: allenalo!
  • Programmare una progressione nella difficoltà delle attività svolte (non per forza si deve partire dalla più complessa)
  • Durante il training delle attività guidare sia la mano sana che la mano plegica: questo aiuterà una migliore coordinazione tra gli arti ed impedirà alla mano sana di ‘predominare’
  • Iniziare a chiedere compiti cognitivi (ad es. parlare, ma anche contare all’indietro, rispondere a domande, ecc…) durante le attività/esercizi che il paziente già svolge autonomamente con la mano plegica, per cercare di ‘decorticalizzare’ il processo di movimento così che durante le attività possa essere più automatico
  • Avere sempre in mente un’attività (occupazione) finale a cui si deve puntare come obiettivo di trattamento, e svolgerla (anche solo in parte) alla fine di ogni trattamento
  • Appena viene raggiunto un buon risultato con un’attività della vita quotidiana, inserirla nei ‘compiti a casa’, cioè negli auto-trattamenti, che il paziente può, anzi DEVE, svolgere in autonomia.

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Dott.ssa Giulia Mayer

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