Jill Bolte Taylor è una neuroanatomista dell’Indiana, USA, che ha avuto un’esperienza che nessuno scienziato prima di lei aveva attraversato (né si augura di farlo): la mattina del 10 dicembre 1996 subì un ictus emorragico nell’emisfero sinistro. Ebbe in questo modo la possibilità di studiare dall’interno le proprie funzioni cerebrali e il conseguente deterioramento delle stesse:
[…]il braccio destro mi ricadde paralizzato lungo il fianco e persi l’equilibrio. Fu allora che capii. Oh, mio Dio, è un ictus! È un ictus! L’istante successivo, per la mente mi passò come un lampo un pensiero: è stupendo!
Di questa esperienza, non solo di quello che successe quella mattina ma di tutto il percorso successivo, mesi e anni di duro lavoro per ricostruire quello che era andato perso (o buona parte di esso), ne parla nel suo libro La scoperta del giardino della mente: Cosa ho imparato dal mio ictus cerebrale. Ciò che è evidente è quanto una mente scientifica autenticamente curiosa non cessi mai di esserlo, nemmeno in situazioni disperate. Quante persone avrebbero considerato tale esperienza un’opportunità di studio? In questo modo, dandoci un’idea del suo vissuto, ci può aiutare a capire cosa passa nella mente dei nostri cari, o dei nostri pazienti, che hanno subìto una simile esperienza. La persona che le è stata vicina, sua madre, a cui dedica il libro, è stata in tutto e per tutto un’ottima insegnante di vita, si potrebbe dire “rivivendo” l’esperienza della madre che deve insegnare tutto a suo figlio: dalle parole di Jill Bolte Taylor è evidente quanto siano fondamentali le persone che ci stanno vicine nel periodo di recupero e ripresa motoria dopo l’ictus.
Avevo bisogno che le persone attorno a me mi incoraggiassero. Avevo bisogno di sapere di contare ancora qualcosa. Avevo bisogno dei sogni da realizzare.
Ci porta dunque lungo il percorso che la portò, letteralmente un passo alla volta, al recupero delle funzioni motorie necessarie a camminare e muoversi con scioltezza e di quelle cognitive e del linguaggio, fondamentali per il ritorno all’attività scientifica e di insegnamento. Con chiarezza espone le necessità di quel periodo, da quelle più ovvie a quelle meno ovvie, le strategie e le scelte che la portarono su un percorso di ricostruzione fisica e mentale di successo.
Per guarire era importante che ci concentrassimo sulle mie abilità, piuttosto che sulle mie disabilità. […] Avevo bisogno che si festeggiassero i miei successi quotidiani: grandi o piccoli che fossero, mi erano di stimolo.
Ecco il suo intervento ai Ted Talks del 2008, dove ci racconta di come abbia vissuto sulla propria pelle le differenze emisferiche del nostro cervello: osservando mentre si spegneva la parte sinistra, la parte destra era prevalente:
E poiché non potevo più identificare i confini del mio corpo, mi sentivo enorme e in espansione. Mi sentivo tutt’uno con tutta l’energia che c’era ed era bellissimo.
Sottolinea dunque la pluralità all’interno di ogni singolo individuo, costituita dall’emisfero analitico (sinistro) e dall’emisfero spensierato (destro), descrivendoli come due personalità distinte che vanno a costituire un’unica mente, ma che possono essere più o meno in armonia l’una con l’altra, temperandosi o sopraffacendosi, dando luogo a personalità eccessivamente rigide o eccessivamente lasse.
Racconta quindi il suo ictus nell’emisfero sinistro come la possibilità di scegliere quali percorsi analitici e critici far risorgere e quali lasciar andare, poiché schemi avversi e svantaggiosi che portavano ad inutili sofferenze. È questo quello che Jill Bolte Taylor chiama prendersi cura del giardino della mente.
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