I 10 principi che guidano la neuroplasticità
La neuroplasticità è un concetto relativamente recente nel mondo scientifico e con essa si intende la capacità del nostro cervello di cambiare, adattarsi e persino rigenerare alcune componenti in base alle informazioni che riceve.
Questo fenomeno avviene fisiologicamente per tutta la vita (è ciò che ci permette di imparare nuove abilità come giocare a tennis, ad esempio) ma è più che mai attivo in seguito ad una lesione cerebrale: sia essa dovuta ad un ictus ischemico o emorragico, un trauma cranico, un intervento chirurgico cerebrale, un tumore e persino in patologie croniche e progressive come la sclerosi multipla.

In questo articolo ho esposto i 10 principi che guidano la neuroplasticità secondo Kleim e Jones e che possono farci da guida nel trattamento del paziente con lesione cerebrale.
- Usalo o perdilo: “I circuiti neurali non attivamente ingaggiati in un compito per un lungo periodo di tempo iniziano a deteriorarsi”. Dunque anche una funzione cerebrale che era stata risparmiata dalla lesione potrebbe andare incontro ad un decadimento se non viene utilizzata. Ad esempio nei pazienti che richiedono l’alimentazione con sondino per un certo periodo di tempo, i circuiti responsabili della deglutizione possono “arruginirsi” e quindi aver bisogno di tempo e riabilitazione una volta che il paziente può tornare ad alimentarsi normalmente.
- Usalo e miglioralo: “Un allenamento specifico per una funzione cerebrale può portare ad un miglioramento in quella funzione”. Maggiore è l’esperienza in un’attività e più i nuovi circuiti si rafforzeranno e dureranno nel tempo.
- Specificità: “Dalla tipologia di esperienza dipende la tipologia di plasticità”. È necessario che l’allenamento comprenda attività costruite precisamente per rinforzare i circuiti di una determinata funzione.
- Ripetizione: “La stimolazione della neuroplasticità richiede sufficienti ripetizioni”. Per indurre un cambiamento plastico stabile è necessario ripetere molte molte volte la stessa funzione (ad es. camminare, parlare, portare un bicchiere alla bocca, ecc). Nonostante non sia possibile dare un numero preciso, numerosi studi scientifici ci dicono che sono necessarie migliaia e migliaia di ripetizioni per generare un cambiamento. Proprio per questo è fondamentale che il paziente impari al più presto delle strategie per allenare determinate funzioni in autonomia. Per lo stesso motivo è auspicabile che le diverse figure professionali che ruotano attorno al paziente (fisioterapista, terapista occupazionale, logopedista, neuropsicologo…) siano coordinati e al corrente degli obiettivi l’uno dell’altro: in questo modo il fisioterapista potrebbe, ad esempio, aiutare la ripetizione di esercizi di memoria durante il suo trattamento.
- Intensità: “La stimolazione della neuroplasticità richiede sufficiente intensità”. L’intensità dei trattamenti – intesa soprattutto come frequenza – è altrettanto necessaria alla stimolazione della neuroplasticità. Anche questo concetto è supportato da numerosi studi ed è applicabile a molte patologie diverse (non solo ictus, quindi, ma anche nella sclerosi multipla o nell’atassia è stato evidenziato l’importanza del trattamento intensivo).
- Il tempo conta: “Differenti forme di plasticità si verificano in tempi diversi durante il recupero”. Nelle prime fasi riabilitative sarà possibile una modificazione delle strutture più rapida – dovuta sia allo smascheramento sinaptico che alla neuroplasticità funzionale – alla quale segue un più lento ma continuo adattamento strutturale – lo sprouting ne è un esempio – ed entrambi possono essere portatori di cambiamenti positivi o negativi. La velocità con cui si possono instaurare certi compensi, ad esempio, dipende proprio dall’enorme capacità adattiva del nostro cervello. È dunque fondamentale offrire trattamenti precoci che possano guidare la plasticità nella direzione corretta.
- Rilevanza: “L’esperienza nel trattamento deve essere sufficientemente rilevante per indurre neuroplasticità”. Ciò che è importante e significativo per la persona avrà più possibilità di indurre apprendimento (sia esso motorio o meno). Dunque scegliere attività motivanti è un compito fondamentale per il terapista: ogni trattamento dovrebbe essere – in qualche modo – “memorabile”.
- L’età conta: “La neuroplasticità indotta dal trattamento avviene più rapidamente in cervelli più giovani”. In generale le capacità plastiche ed adattive sono maggiori in cervelli più giovani – vi ricordate quanto era più facile imparare una poesia a memoria da bambini? Tuttavia, non disperate se avete un cervello non più giovanissimo: la neuroplasticità è un fenomeno che continua per tutta la vita.
- Trasferimento o generalizzazione: “La neuroplasticità derivante da uno specifico training può facilitare l’acquisizione di comportamenti simili”. Se è vero che un’attività specifica ha più possibilità di migliorare una determinata funzione, ciò non vuol dire che il nostro cervello non abbia la capacità di generalizzare. L’abilità nel camminare, ad esempio, gioverà dei trattamenti svolti in pianura anche quando la persona affronterà una salita.
- Interferenza: “La plasticità in risposta ad una esperienza può impedire l’acquisizione di comportamenti simili”. Il cervello è in continuo apprendimento – soprattutto in seguito ad una lesione cerebrale – ma questo non vuol dire che sappia distinguere tra buon apprendimento e mal apprendimento! Sviluppare una connessione neuronale che aiuti a compensare una funzione persa, ad esempio, può interferire con il recupero di quella funzione.
Sì – il cervello ha una grande capacità di adattarsi e modificarsi in seguito ad una lesione cerebrale. Ma è necessario comprendere come questi cambiamenti possono avvenire per ottimizzare la riabilitazione ed ottenere i migliori risultati possibili.
Di seguito trovate una bellissima infografica – che mi sono permessa di tradurre – che spiega i dieci principi che guidano la neuroplasticità: sentitevi liberi di condividerla!

Fonte: Kleim JA, Jones TA, Principles of experience-dependent neural plasticity: implications for rehabilitation after brain damage, Journal Speech Lang Hear Res. 2008 Feb;51(1): S225-39. doi: 10.1044/1092-4388(2008/018).