Il recupero della mano dopo l’ictus (sia esso ischemico o emorragico) spesso può apparire impossibile, un’impresa disperata. La mano di un paziente che ha subìto un ictus, infatti, spesso rimane paralizzata ed insensibile assieme all’intero braccio per un tempo lungo, molto più lungo rispetto ad altre parti del corpo (come la gamba o il viso). Il paziente lo esprime con una frase terribile ma accurata che ho sentito ripetere più volte:
Questa mano sembra morta.
Ma il fatto che il recupero della mano sia difficile, lento e pieno di ostacoli, non significa che sia impossibile come sembra. Bisogna sapere, infatti che è più frequente che la mano recuperi le sue funzioni (anche solo parzialmente) piuttosto che non le recuperi: ci vorrà solo più tempo (cos’altro c’è da sapere sull’ictus?). E ovviamente più impegno: sia da parte del paziente che del terapista.
Ma in termini pratici, cosa serve per stimolare il più possibile il recupero della mano colpita da ictus?
#1 Motivazione
Come dicevo, servirà una bella dose di duro lavoro per vedere i primi progressi. Di conseguenza, il paziente dovrà essere altamente motivato a lavorare al fine di recuperare le funzioni della mano. E non intendo un semplice ‘desiderio che la mano torni a muoversi’, perché quello è presente in tutti coloro che sono stati colpiti da un ictus. Intendo una vera motivazione, fatta di disponibilità a dedicare tempo ed energie alla riabilitazione in primo luogo, ma anche accettazione dei propri limiti attuali, capacità di gioire dei piccoli risultati e soprattutto fiducia nel proprio terapista! Questo aspetto, infatti, nonostante sia molto difficile da quantificare in termini scientifici/statistici, sospetto che abbia una larga parte nel successo della riabilitazione in generale e nel recupero della mano in particolare.
L’atteggiamento del cilinico può influenzare il recupero del paziente fino al punto che la cessazione del processo di recupero dopo sei mesi, credenza molto diffusa, sia il risultato di una profezia che si compie (Bach-y-Rita, 1981)
#2 Riabilitazione precoce
Il fatto che la mano e l’arto superiore abbiano tempi di recupero più lunghi non significa che debba aspettare anche la riabilitazione! La terapia per la mano plegica, infatti, deve partire immediatamente, fin dalle prime settimane in ospedale/stroke unit attraverso una corretta postura sia da sdraiati che da seduti e certamente nei mesi successivi nel centro di riabilitazione e successivamente al ritorno al domicilio. Moltissime problematiche di mano, infatti, come dolore, gonfiore/edema e spasticità sono prevenibili attraverso una serie di accorgimenti e non devono essere considerati come una conseguenza inevitabile dell’ictus. Una riabilitazione che fin da subito integri la mano nel trattamento non solo riesce a prevenire complicanze secondarie, ma si assicura che tutte le funzioni necessarie al recupero della mano vengano stimolate.
Lo sviluppo di contratture non dovrebbe mai venire accettato come inevitabile, perché queste non sono sintomi della lesione cerebrale, ma del suo trattamento. Ogni volta che in un centro di riabilitazione è necessario procedere ad un’estesa correzione di contratture, deve essere rivisto urgentemente l’approccio terapeutico. (P. Davies, Ricominciare)
#3 Terapia funzionale
Non scordiamoci mai che la mano è il nostro organo principale di interazione con l’ambiente: attraverso la mano noi lo modifichiamo, ne prendiamo possesso e stabiliamo la nostra autodeterminazione e autonomia. Per questo la mano sopra ogni altra parte del corpo non può essere trattata come un organo passivo, un insieme di segmenti e di muscoli distinti l’uno dall’altro. È necessario che la funzione sia al centro del trattamento (come ci insegna il Concetto Bobath) perché ci sia qualche speranza di recupero della mano dopo una lesione cerebrale. Limitarsi alla mobilizzazione passiva o all’inibizione dell’ipertono non solo è inutile ma può risultare dannoso, quantomeno per la sensazione di fallimento che il paziente sperimenta e dalla quale spesso ne risulta la sua demotivazione. La mano e l’intero arto superiore va, invece, coinvolto in attività funzionali, che possono essere anche estremamente semplici e pertanto eseguibili anche dai pazienti con limitazioni motorie maggiori: in questo modo non correremo il rischio di scoraggiarlo e sarà possibile vederne subito gli effetti benefici, ad esempio con una diminuzione della spasticità intesa anche come maggior controllo da parte del paziente della componente involontaria (che è il primo passo per incrementare il movimento volontario).
Ci sarebbero veramente tantissime altre cose da dire, ma per il momento mi fermo qui. Voi ricordatevi di seguirmi su fb per scoprire i prossimi articoli!