Riabilitazione della spalla emiplegica: prevenzione di dolore e complicanze

Riabilitazione della spalla emiplegica: prevenzione di dolore e complicanze

Fin troppo spesso i nostri pazienti accusano dolore alla spalla emiplegica già dopo le prime settimane di ricovero e fin troppo spesso esso si acuisce nel tempo anzichè diminuire. Se tutto ciò viene considerato una conseguenza quasi inevitabile dell’ictus, non verrà trattato con la giusta attenzione nè dai terapisti nè dai medici. Ma il corretto approccio ce lo suggerisce Patricia Davies nel suo Passo dopo Passo:

Il dolore e la limitazione del movimento della spalla sono una complicanza secondaria prevenibile e che non dovrebbe essere considerata un sintomo inevitabile dell’ ictus (P.M. Davies).

È quindi con questa considerazione in mente che dobbiamo approcciarci alla spalla emiplegica, sia noi terapisti che i pazienti e i loro familiari.

Correlazione tra dolore alla spalla emiplegica e sublussazione

Nonostante inizialmente queste due situazioni vennero associate in una relazione di causa-effetto, gli studi (parliamo di studi degli anni ’80, quindi neanche così recenti) hanno nel tempo realizzato che non era vero: semplicemente la sublussazione è talmente frequente nei pazienti emiplegici da essere molto frequente anche nei casi di dolore alla spalla. Ci accorgiamo della mancanza di relazione quando osserviamo i molti pazienti con sublussazione che non accusano alcun dolore. Questo tuttavia non significa che la spalla emiplegica sublussata debba essere ignorata: essa infatti, pur non essendo causa primaria di dolore, è senza dubbio più vulnerabile ai traumi a causa della mancata azione protettiva dei muscoli affetti da paralisi.

La prevenzione del dolore nella spalla emiplegica

Uno dei primi sistemi che abbiamo per prevenire il dolore nel paziente emiplegico è senza dubbio il corretto posizionamento, e questo vale sia per la spalla che per qualunque altro distretto.

Un appropriato posizionamento a letto ci permette di sorreggere la spalla e tenere il braccio in diverse posizioni (ad es. con il braccio extra-ruotato e la mano sotto la testa, oppure con la mano poggiata sulla pancia) già quando il paziente è supino, mantenendo in questo modo la mobilità dell’articolazione della spalla.

Allo stesso modo quando egli è seduto tenere appoggiato l’arto superiore su un tavolo di altezza adeguata ci permette di conservare i giusti rapporti articolari, oltre che mantenere il braccio nel campo visivo del paziente così che non venga dimenticato.

Molto spesso, infatti, il dolore è causato da settimane di “cattiva educazione” nei confronti del braccio paralizzato, da parte dei familiari o del paziente stesso, che non sa come muoverlo o dove metterlo, ad esempio durante l’attività di vestizione.

L’educazione del paziente alla mobilizzazione della spalla

Insegnare al paziente a muovere adeguatamente il proprio arto superiore, prima ancora che esso sappia muoversi da solo, è di primaria importanza nella prevenzione del dolore e delle complicanze secondarie, molto spesso legate all’immobilità. Bisogna prima di tutto chiarire che i primi approcci all’arto superiore e in particolare alla spalla emiplegica sono molto delicati e come tali dovrebbero essere considerati dal terapista e dal medico competente. Infatti se quando il terapista muove il braccio causa dolore, non possiamo certo sperare che il paziente inizi a muoverlo da solo, né passivamente né tantomento attivamente.

Il paziente che ha dolore quando si muove, rimarrà immobile. (Braun e coll. 1971)

Dunque una volta trovato il corretto approccio (che potrà essere diverso di caso in caso), si deve iniziare ad insegnare al paziente ad auto-mobilizzarsi la spalla come pratica quotidiana, ad esempio la mattina prima di alzarsi dal letto. In questo modo sarà il paziente stesso a limitare l’immobilità e, anche se dovesse interrompere la terapia per qualche settimana, non ci troveremmo con una spalla improvvisamente dolorosa.

L’uso dei tutori per la spalla emiplegica

Superate le prime settimane, o anche i primi mesi, a seconda dei tempi di recupero e dell’intensità delle cure, potremmo decidere che vale la pena utilizzare un tutore per prevenire il dolore alla spalla emiplegica. Ad esempio perchè il braccio risulta pesante durante la deambulazione, ostacolandone i movimenti, come spesso accade. Per la scelta del tutore adeguato, che protegga l’articolazione senza ostacolarne i movimenti, vi consiglio di leggere qui per non cadere in errore.

Uso funzionale dell’arto superiore

Non scordiamoci tuttavia che tutto quello che abbiamo detto fin qui dev’essere, in fin dei conti, finalizzato ad un recupero più completo possibile dell’uso del braccio e della mano dopo l’ictus.

Di conseguenza un trattamento che abbia come obiettivo la prevenzione del dolore alla spalla emiplegica non può evitare di coinvolgere l’arto superiore in attività funzionali per stimolarne il recupero motorio. La ripresa del tono muscolare da sola, ad esempio, ci corregge la sublussazione della spalla che tanto preoccupa i nostri pazienti.

Ma come stimolare il recupero del braccio? Il terapista saggio sa che coinvolgere l’arto superiore fin dal principio in tutti i movimenti che il paziente fa (ad esempio tirarsi a sedere sul letto, o infilarsi le scarpe) è un buon inizio per non eliminare l’arto superiore dallo schema corporeo e per iniziare ad avere una risposta motoria.

La risposta motoria spesso è presente, almeno inizialmente, non nei movimenti “nello spazio” ma in quelli di sostegno. Per questo i cambi di posizione a letto e da seduto possono essere tanto importanti se coinvolgono l’arto plegico: sono quelli in cui è possibile utilizzare il carico (cioè il peso) per ottenere una risposta attiva e volontaria.

Se teniamo conto tutto questo, e in particolare che

Il corretto trattamento della spalla dovrebbe certamente avere un’estrema priorità nell’intera riabilitazione (P.M. Davies)

possiamo con più sicurezza sperare che la spalla emiplegica non sviluppi dolore, edema o resti immobile.

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Dott.ssa Giulia Mayer

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