Ritorno al movimento normale dopo l’ictus

Ritorno al movimento normale dopo l’ictus

Quando parliamo di riabilitazione dell’ictus intendiamo, in fondo, quel processo attraverso cui guidiamo i nostri pazienti a recuperare un movimento normale dopo l’ictus, quale che sia il metodo che utilizziamo. Eppure, non è così scontato che il terapista conosca il movimento normale: cioè quella serie di movimenti collegati ad un’attività specifica con cui abbiamo tutti familiarità ma che non siamo abituati ad osservare ed analizzare. Ma, prima di tutto, cerchiamo di capire quali sono le anomalie del movimento nel paziente post-ictus e perché avvengono.

I movimenti anormali dopo l’ictus

In seguito ad un ictus possiamo osservare una serie di movimenti caratteristici, cioè che si ritrovano in quasi tutti i pazienti con emiplegia, che sono solitamente i primi ad emergere e che sono di difficile interpretazione per i familiari. Come abbiamo già spiegato, infatti, non tutti i movimenti sono buon segno e uno dei primi compiti del terapista sarà spiegare al paziente ed ai familiari come riconoscerli, distinguendoli da un movimento normale dopo l’ictus, e come non incoraggiarli.

In seguito alla lesione cerebrale viene sostanzialmente a mancare il controllo centrale (cerebrale) sul nostro corpo: questo, oltre a causare una paralisi può far emergere dei riflessi patologici e involontari che ostacoleranno il recupero funzionale, cioè il ritorno ad un movimento normale dopo l’ictus. Se non adeguatamente trattati, i pazienti impareranno infatti a muoversi solo attraverso questi movimenti stereotipati (cioè non modulabili in base all’attività, sempre uguali a se stessi) e globalizzati (che interessano cioè tutte le parti del corpo coinvolte dal riflesso, e non solo quelle funzionali all’attività).

Per semplificare (poiché esistono eccezioni) possiamo dire che gli schemi di movimento patologici sono generalmente in flessione per quanto riguarda l’arto superiore (quindi mano chiusa a pugno, gomito flesso, spalla retratta) ed in estensione per quanto riguarda l’arto inferiore (piede in estensione dorsale, cioè con la punta verso il basso, ginocchio esteso). Questi schemi sono sempre associati ad un aumento anormale del tono muscolare: gli arti si irrigidiscono nelle posizioni sopra-menzionate ed è difficile farli tornare in una posizione neutra.

Intervento del terapista e dei familiari

Una volta imparato a riconoscere quali sono gli schemi involontari dal movimento normale dopo l’ictus, il terapista (ma anche i familiari, opportunatamente addestrati) possono intervenire guidando il paziente fuori dai suoi schemi ogni qual volta gli viene richiesto un movimento. Non utilizzo a caso il termine guidare: il guiding è a tutti gli effetti il modo migliore per accertarsi che il paziente esegua i movimenti nel modo corretto. Tra l’altro esso è spesso necessario non esclusivamente sul lato colpito, in particolare per quanto riguarda le attività dell’arto superiore e della mano. A volte per non lasciar predominare il lato non colpito, altre volte perché anche la mano sana non è poi tanto sana.

Ponendo quindi le nostre mani sulle sue, applicando una scelta accurata del compito ed adattando l’ambiente circostante possiamo assicurarci che la risposta motoria sia realmente volontariafunzionale e stimoli il recupero ed il ritorno al movimento normale dopo l’ictus.

In questo modo, cioè attraverso diverse tipologie di facilitazione, potremo scoprire che non solo il paziente apprende in modo più corretto come muoversi ma che diminuisce il livello di spasticità generale. Dunque non solo la parte del corpo interessata al movimento, ma il tono si normalizza in tutti i distretti. E questo permetterà di tirar fuori movimenti a loro volta più selettivi, più controllati, più vicini al “normale”.

Osservazione del movimento normale

Ma eccoci arrivati al punto: per poter adeguatamente guidare i nostri pazienti dobbiamo per prima cosa diventare esperti del normale. Fortunatamente, abbiamo infinito materiale: i nostri stessi movimenti e tutti quelli delle persone a noi vicine possono diventare un prezioso catalogo da cui attingere conoscenza. Nonostante possano esserci delle differenze tra persona e persona, vi sono sempre degli schemi in comune da cui partire. Basti notare come ci alziamo da una sedia: non c’è persona che non metta, un istante prima di alzarsi, i piedi bene sotto la sedia per permettere di portarci il peso. Allo stesso modo dovremo essere capaci di osservare le posture di partenza da cui chiediamo il movimento: il paziente è seduto correttamente? Sta in piedi correttamente?

Lo stesso vale per moltissime altre attività che, se osservate nelle loro componenti una ad una, ci riveleranno che l’essere umano ha sempre una soluzione motoria semplice ed efficace per portare a termine i propri compiti.

Dott.ssa Giulia Mayer